mercoledì 8 febbraio 2023

Luciana Gravina. Il significante dialettico tra ombra e spazio nelle opere di Salvatore Giunta

 

Nelle opere di Salvatore Giunta c’è una precisione quasi ossessiva, dove neanche un millimetro e neanche un segno sono lasciati al caso.
Dovrebbe tranquillizzare la bellezza di uno spazio dove tutto è costruito secondo un progetto, dove linee, forme, evidenze cromatiche, contingenze materiche riabilitano il caos, non foss’altro per la resa estetica, risultato estremo della fusione di esprit de finesse e di esprit de géométrie.

E invece, dietro lo sguardo, la mente parte per viaggi di linee rette o curve, di eleganti angoli acuti, di graffi e di bugnati, di imperturbabili piccole sfere a reggere equilibri incuranti del baricentro.
Che si tratti di sculture o altro, esse vivono il sogno di forme insofferenti che sbottano spesso da un foglio e si offrono in tagli, pieghe, esplosioni di geometrie asimetriche.
Sono opere da guardare in silenzio, respirando piano, come se il fiato di chi è al fuori potesse infrangere la pareti di cristallo del loro bunker semantico ou tous se tient, dove lo spazio liquido che le contiene sembrerebbe volerne fare un suo ostaggio immobile.
La mente viaggia verso orizzonti misteriosi dove si accendono altri dubbi e altri quesiti attraverso cui la vita consapevole avviene.
Intriga e inquieta l’incessante dinamica di luce e ombra che, tra la forma e il gesto, svela una semantica di prospettive, a volte piccole, ma pronte, come in agguato, ad attaccare dormiveglie emotive, disincanti psicologici, sogni in dismissione.
Dove l’indagine, l’espressione e la consapevolezza dei lati oscuri dell’io, accende di valenze l’ombra che non sembra essere percepita come negazione della luce, ma come alternativa possibile, come presenza attiva di esistenza, consustanziale all’essere.
Qui l’ombra spia e sorveglia la luce in una dialettica solo apparentemente effimera, perché segna e incide nella coscienza dell’essere in quanto permanente gioco metaforico di pieni e vuoti, eros e tanatos, vita e morte.
In questo gioco l’ombra assume un ruolo primario, quasi primitivo, che scansa le tensioni degli antichi (“Epameroi. Esseri della durata di un giorno. Che cosa siamo? Che cosa non siamo? Sogno di un ombra l’uomo.” Pindaro Pitica VIII), saltando a piè pari anche Masaccio, considerato il primo artista in cui appaiono le ombre e che attribuisce all’ombra una funzione salvifica come nel dipinto San Pietro risana i malati con la sua ombra, ma si colloca in una dimensione moderna, illuministica ancorata alla materia, forse alle sue vibrazioni.
Forse la forma visibile è vista come emanazione energetica delle vibrazioni dell’ombra. La materia è energia sostiene Einstein. L’ombra dunque è materia

informe da cui si dipartono energeticamente segni e sostanze. Cioè segni e significati.
Salvatore Giunta sembra esserne consapevole al punto che titola, non solo alcune sue opere, ad esempio, Sculture d’ombra, Fughe d’ombra, ma anche una sua mostra, “Ombre”, 10 acrilici ispirati alle poesie di Clara Janes e Carla Vasio.

Calato nella sperimentazione come nel suo status naturale, Salvatore Giunta dialoga (o combatte?) con materiali diversi (metallo, carte lavorate, sabbia, plexiglas, inchiostri, fili, plexiglass) e attraversa ambiti di competenza conniventi (pittura, istallazioni, scultura, libri d’artista, video, cortometraggi), maneggia la diversità degli strumenti e delle conoscenze con una naturalezza congeniale, ma che è anche alimentata da una professionalità cólta, ancorata a contatti di studio privilegiati quali con Caporossi, Purificato, Turcato, Portoghesi, Zevi, Perugini.

Galleria

https://youtu.be/ZGYfnWYAkAM 


domenica 24 luglio 2022

L’antologia poetica di Onereed, con venticinque brani critici

L’antologia poetica di Onereed, con venticinque brani critici di Antonio Lotierzo Montalbano- Pisticci, dopo Buonabitacolo-Torretta, Roma, con periodi a Parigi: ecco le principali tappe della biografia di Luciana Gravina che è poetessa ( o ‘poeta sperimentale’, per D. Maffia) e si lascia presentare da Francesco D’Episcopo e Giorgio Linguaglossa in questo variegato, denso ed elegante volume: Percorsi poetici e pretesti critici ( 1979- 2009),Onereed ed.,Milano,pp.235,18 e.. D’Episcopo parla di una ’vocazione autentica e assoluta’ che l’ha portata ad uno ‘sperimentalismo avido e ardente’ che può rinviare fino ad un assurdo iperreale (alla Beckett) unito ad un ‘creativismo semiologico’, produttivo di neologismi e parole inventate ( ma non metasemantiche). Una poesia che va letta a voce alta, col sottofondo dell’adagio in sol minore di Albinoni o con i violini e piano di Mozart conc.n.21 o, ancora, con brani del Parsifal di R.Wagner, provate. Nella prima fase poetica (inclusa sul carro ‘femminista’ di R. M. Fusco del 1980) ecco un racconto di paese : “Passeggiata nel corso, andata e ritorno/ più volte; senza biglietto, signori, si guarda./ Dall’arco alla fontana dove soffia il vento/ e la vita si vuole perfetta come la morte./ Fino all’arco sotto l’orologio,/ passi consueti sul porfido/ fin dove annega l’azzurro fumo della notte,/ dove i nostri destini allineati / hanno la durata di un grido,/ vi cerco ogni sera l’astuta follia dei lampioni/ e nell’oro falso mi fingo un timone.”(A folle uno, XX). Poi questa ‘ formalizzazione del magmatico esistenziale’ (D.Valli, che vi rileva un’ascendenza simbolista) cambia ancora a partire dai frequenti endecasillabi de ‘La polena’ (del 1984), ’ simbolo dell’avventura umana’ e ‘metafora del silenzio’, per assumere una posizione ‘mediana’ fra Sanguineti e una classicità postmoderna (G. Mercogliano), racconto d’un’apolide il cui bipolarismo oscilla fra i due campi della natura-realtà e dei segni-simboli. Più decisa poematicità si registrò con ‘M’attondo il giorno’ (del 2004, con grafica di Vanni Rinaldi e testi musicati dal M° Vincenzo Borgia), dove la versificazione ipermetra espone, nella ‘deformezza della norma’ un’inclinazione filosofica “io sdoppiata e a raddoppio, speculare di me, testimoniale del tu/ (altra me) a cui tendendo…”, con cui tenta di ‘spraticare la norma’, di evidenziare il groviglio del mondo e di tentare il ‘controllo del piccolo caos quotidiano”(M. Lunetta). L’acqua, lo specchio, la spirale, la rotondità sono immagini con cui razionalizzare il quotidiano, fino a ‘Rosso cavallo’ nel cui vigore linguistico si registra il declino dei valori e delle certezze ( siamo immersi nel paesaggio post-ideologico e nella desertificazione dell’umanesimo, ricostruisce Martina Peloso). “rossi che ti assomigliano se anche il mondo dorme rosso/ a un’ombra di carne. Cosicché rosso mi porti un vascello/ roco di vibrazioni solenni. Cosicché rosso. E lo zoccolo/ batte, rojo batte all’antico fiore, red(i)vivo/ ad ogni piccola morte, ad ogni viaggio. Rosso.”. Ancora diversa forma mostra l’originale poemetto ‘Del senso e del sé’ (2006), dedicato alla ‘Dama con il liocorno’ (arazzi parigini del museo medievale di Cluny)(musicato dal M° Mauro Porro), dove s’illustrano i cinque sensi e si chiude con il libero arbitrio; la constatazione di una “vita mbruscinata nel mare insonne” con un “ quasto nostos pendolare tra Torraca e Parigi”. Qui Gravina legittima la spiritualità del corpo, perché il corpo che sente non è disgiunto dallo spirito e, quindi, la persona, uomo o donna che ‘sente’, afferma la sua consapevole esistenza nell’armonia dell’universo…condizione mistica”. Sembra un riporto da J. Bohme ed invece è spia del percorso della Gravina che si è avvicinata alla filosofia della Crescita personale e muta ancora le sue forme poetiche, si serve d’un panismo unitario, figurato nella spirale, che è pure la forma d’un suo gioiello, e la direzione va verso un ‘infinito presente’, che è un augurio per noi tutti, il raggiungimento del chakra, della ruota, forse anche arcolaio induista, sui cui punti si registra l’incontro fra il sé e il mondo, con equilibrio e pacificazione fluida (R. Melanconico) e infatti ascoltiamola: “ Rimediarla la vita, jamais, ma di / riappropriazione dico, perché quisqueciascuno è / fabbro e averla fra le mani… / annegare i deliri, sfrangere le paure del poi, risistemare il / prima, a luce di fresca nascita di un infinito presente “. Ricompattare il caos, ecco il progetto, anche attraverso una poesia di corpo e di pensiero, in maniera da ripristinare la vitalità ed ottenere l’equilibrio della persona ( Anna M. Vanalesti, 2012). Questa teleologia di vita continua ad esprimersi in una forma mistilinguistica, con l’ottativo del desiderio e l’oltranza (Claudia Pagan: “ potessi spalmare / questo tremore illuminato (…) mi piacerebbe cambiare / strada prossima allo sbaglio (…) corcare / l’attimo afferrato benché fuggente e vivìrlo di fresco questo/ smottamento del cosidetto amore…”. Infine, il poemetto (della bambina con) “Il fiocco in testa “inedito, impreziosisce questo stratificato volume in cui lo sguardo disnuda il bianco silenzio, il mutismo della condizione femminile nelle società patriarcali, l’incomunicabilità delle emozioni: “Cantavo sottovento in fuga. Il / fiocco in testa non si conosceva deciduo. I muli squassavano/ le sonagliere. Disegnavano la…..biografia della piazza”. Rinvio il lettore ai puntuali commenti di Valentina Nesi e Filomena A. D’Alessandro. Nella postfazione, Linglaglossa inserisce l’intero e diversificato percorso poetico della Gravina nelle linee italiane, dal predominio finale della neoavanguardia alla crisi degli anni Novanta, quando la post-ideologia rivela il declino dei valori e dei codici della tradizione umanistica e qui la Gravina declina una “dizione sperimentale che recepisce la crisi dell’io e la crisi della forma-poesia ricevuta…”. Gravina è dentro il tema della crisi della forma-poesia; evita le poetiche del ripiegamento; devia dal minimalismo del quotidiano; divaga da impegni sociali di una scrittura di protesta e tenta il sentiero della dismetria, a volte ironica, affondando il periscopio nella materia stilistica, fusa con una ‘poesia corporale’ distillata fra pressione esistenziale e sorgività del canto, che tritura memoria e angoscia. In tale maniera la ‘krisis’ è entrata all’interno della parola poetica, che allestisce una propria scenografia linguistica, in cui si recita la scissione fra il nome e la cosa, fra il soggetto e il linguaggio, in maniera drammatica e forse irresolvibile, almeno per la nostra generazione.

lunedì 26 ottobre 2020

Ciondolo in plexiglas e friendly plastique


 Ciondolo in plexiglass bordeau con elementi in friendly plastique e rame Cordoncino bordeau con capicorda in metallo forgiato.